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Una session in compagnia

24 Luglio 2019 - il Blog, Ricette
Una session in compagnia

Un’altra birra che ho fatto e che non farò mai più è la session IPA. Per essere pignoli una Session Rye IPA. E per essere ancora più precisi, una Session Rye IPA da dividere con un altro homebrewer. Ricordo tutto come fosse il mese scorso (e infatti era il mese scorso).

Ma facciamo un passo indietro…

Quando ci si espone, tramite blog o podcast, possono succedere due cose:

Quando a suo tempo decisi di far nascere questo blog e il Carbrewing Podcast ero ben cosciente che sarei andato inevitabilmente incontro alle critiche e agli apprezzamenti. Fortunatamente non è successo niente di tutto questo: obiettivo raggiunto.

Per la cronaca, su consiglio e spinta di altri ho riattivato i commenti sui post e ho aperto una pagina facebook dedicata a questo blog. Quindi dateci sotto. tanto è tutto moderato.

Mi è capitato però di conoscere persone nuove. Checché se ne dica, gli homebrewers sono animali sociali che tendono a fare gruppo: questo è sempre positivo. A prova di ciò, a marzo scorso ho conosciuto Gabriele, un homebrewer che abita nella mia zona, e dopo un po’ di scambi di esperienze e di incontri a suon di nostre birre abbiamo iniziato a fantasticare sulla possibilità di fare una birra insieme. Non ricordo bene quanto tempo ci abbiamo messo per decidere almeno lo stile di riferimento e alla fine abbiamo messo un punto su una Session Rye IPA.

Io in passato ho abbondantemente fatto uso di segale, e nonostante tutto non ho ancora imparato la lezione. E… oops I did it again.

Briù Plus Plus Session Rye IPA edition – la ricetta

Vitals

Mash

Malts (3.3 kg)

Other (200 g)

Hops (110 g)

Miscs

Yeast

Fermentation

L’obiettivo, ovviamente era dividerci i litri finali, dieci a testa, e provare addirittura due dry hop diversi: io con Cascade e lui con Simcoe. E poi scambiarsi le bottiglie.

Com’è andata la cotta?

io, il Biondo, Gabriele e la bacinella.

La cotta è andata abbastanza liscia. Oltre il caldo asfissiante, gli spazi stretti e il fastidio in genere, ci si è messo di mezzo anche il Matteo il Biondo a rompere il cazzo durante la cotta, come se uno non avesse già abbastanza pensieri. Ormai Matteo è una costante dell’Officina Briù. E non so se è un bene… Ma torniamo alla cotta.
Nonostante la presenza massiccia di segale, non ci sono stati particolari problemi di filtrazione, ma il mosto in bollitura è risultato parecchio sporco: di solito io macino un pelino oltre e la segale si è praticamente sfarinata e la lolla ha sì aiutato la filtrazione ma da sola non può fare miracoli. Abbiamo provato a fare un generoso e turbinoso whirpool dopo la fase di raffreddamento, e durante l’attesa per la formazione della torta ne abbbiamo approfittato per mangiare un’ottima pizza di Storie Dipinte. Alla fine io ero distrutto. Io non capisco come fanno quelli che a fine cotta sono freschi come una rosa.

Con Gabriele ci siamo poi divisi equamente i circa 21 litri finali. Abbiamo deciso entrambi di usare lo stesso lievito: il fantomatico secco US-05 della fermentis. Ho impostato la fermentazione a 16 gradi costanti per evitare quel fastidioso saporino di frutta matura che tanto ultimamente sta scombussolando il mondo dell’homebrewing, mentre Gabriele ha impostato la sua fermentazione per partire intorno ai 18°c per alzare a 21°c verso la fine della fermentazione. Entrambi abbiamo poi fatto una sosta di winterizzazione a 5° per circa una settimana.

La fermentazione.

Ormai l’US-05 è un lievito che conosco abbastanza bene, motivo per cui non ho avuto bisogno di monitorare costantemente la fermentazione con Plaato e altro. Ho solo collegato la camera di fermentazione all’AxHTherm e ogni tanto andavo a controllare sul cellulare la temperatura che è rimasta per tutta la fermentazione sui 16°. Dopo la fine della fase tumultuosa ho aperto il fermentatore per un dry hop di circa 5gr/litro di luppolo cascade. E ho abbassato la temperatura a 5°c prima di imbottigliare. La versione di Gabriele prevedeva un dry hop sempre di circa 5gr/litro di luppolo Simcoe.

Poi abbiamo imbottigliato, ognuno a casa sua i circa 10 litri di birra.

Fare o non fare cotte in compagnia?

Diciamocelo: condividere un hobby è sempre bello, piacevole e rilassante. L’homebrewing, d’altro canto è un tipo di hobby che prevede mille strade diverse per arrivare allo stesso punto, e ogni strada può essere percorsa in mille modi diversi. Tutto dipende dall’homebrewer che dopotutto rimane una persona con il suo carattere e le sue abitudini. Per questo motivo, io non voglio nessuno intorno a me quando faccio una cotta: sono sempre indaffarato, nervoso, pensieroso, con la mente altrove sulle mille cose da fare e da tenere sotto controllo e con la mia organizzazione autistica che mi porta spesso ad agire senza prima aver deciso cosa fare e mi capita di fare avanti ed indietro per tutta l’officina senza motivo apparentemente sensato. E non devo perdere tempo a spiegare o impartire ordini, o riceverli, specialmente se si tratta di agire in velocità. Non si tratta di fare bella figura, di mettere le mani avanti o di mettersi in mostra, ma io dico sempre la stessa cosa a chiunque ha il piacere di venire a visitare la mia cantina: “lasciamo perdere la teoria, perché sul campo mi vedrai fare cose che non sono proprio canoniche“. Ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio….

In questa cotta specifica, Gabriele ed io ci siamo divisi i ruoli in maniera netta: io mi sono occupato dell’ammostamento; mentre a lui è seguito la fase di bollitura e luppolatura. Ogni tanto ci veniva da pestarci i piedi a vicenda, ma con un po’ di organizzazione potrebbe essere assolutamente un’esperienza da ripetere.

In ogni caso trovo piacevole scambiare una chiacchiera o una parola durante le lunghe fasi della cotta. Io soffro solo del fatto di avere uno spazio piccolo e poco incline all’accoglienza di altri animali di tipo homebrewer, altrimenti ogni cotta potrebbe essere occasione per una festa. Una bella festa. Tranne ovviamente quando si mette in mezzo il Biondo che, detto tra noi, è un gran cacacazzi.

Tanti auguri a me!

Giugno è anche il mese del mio compleanno e per festeggiare i 40 anni, amici e parenti mi hanno regalato un minikeg da 2 litri con spillatore, giusto per fomentare ulteriormente la mia ossessione per la produzione casalingo brassicola. Regalo graditissimo ovviamente e immediatamente battezzato con la Briù Plus Plus – Session Rye Ipa edition. In futuro mi riservo di prendere altri fustini per provare a giocare un po’ con la moda del momento, ovvero le fermentazioni in fusto. Ho visto che sia su amazon.it che su geek.wish.com, ma anche sui vari store on line per homebrewers, ci sono diverse soluzioni per prezzi molto simili (e anche tempi di consegna). Tutto sta ad entrare nell’ottica dei “fustini”. Per il resto della birra ho usato quel sistema vintage che è la fusione di bottiglie di vetro e tappi a corona e la rifermentazione in bottiglia.

Dopo una carbonazione forzata di due giorni ho spillato la prima pinta con grande emozione e curiosità: la voglia di testare ed imparare ad usare il giochino nuovo è una forza più potente rispetto qualsiasi altra cosa.

La birra in sé non è la birra più buona del mondo (scusate per la litote) ma in ogni caso si lascia bere. Leggera, dissetante e con un discreto corpo: ho trovato un leggero diacetile che si dovrebbe, spero, riassorbire col tempo. L’aspetto è decisamente velato ai limiti del juicy, colpa sicuramente del dry hop e di una non corretta sedimentazione: ho tenuto il fustino in orizzontale in frigo perché altrimenti non c’entrava. L’aspetto velato è sicuramente da imputare alla segale; e colpa sicuramente mia che sono una pippa a fare sparge. Ci sta.

Posso sempre dire di aver fatto una neipa, e pure quelle ultimamente vanno tanto di moda.

la session rye ipa e roma sullo sfondo

Ho notato invece che le bottiglie sono meno velate, ci può stare.

Dopo un paio di settimane, Gabriele ed io ci siamo rivisti e ci siamo scambiati una bottiglia, e ho potuto così fare un confronto tra le due birre: L’aspetto è molto simile, e anche in bocca ci sono molte similitudini: la grossa differenza sta nel naso dove i due luppoli usati in dry hop determinano la differenza.

Inutile dire che con questo caldo… è praticamente già finita. Sembra quasi evaporata.

TL;DR

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Un pensiero su “Una session in compagnia

ostelinus

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