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Torniamo a parlare di IGA

5 Ottobre 2019 - il Blog, Tecniche e Consigli
Torniamo a parlare di IGA

Nell’ultimo mese, sono state veramente tante le persone, passate per caso su questo blog o sui vecchi podcast di CarBrewing (che ora trovate solo su youtube), che mi hanno chiesto consigli su come realizzare una IGA. Le statistiche degli ultimi due mesi parlano chiaro: i post in cui parlo di IGA hanno avuto un’impennata pazzesca di accessi e lettura che mi fanno capire che il tema è molto sentito anche da altri homebrewer.

Ho ricevuto davvero diversi contatti, e ammetto di esserne molto lusingato. Ma non dico così perché voglio fare quello che se la tira e che usa questa frase come pretesto per esprimere sempre lo stesso concetto come un disco rotto. I contatti sono veri, giurin giurello, e chi non ci crede è un caccapupù.

E quindi… torniamo a parlare di IGA.

Io sono sempre più convinto del fatto che in Italia, nell’ambiente brassicolo, non si parla abbastanza di Italian Grape Ale, eclettica bevanda su cui possiamo veramente esprimere il nostro estro, in maniera completamente scevra da storicismi o stili definiti oltreoceano. Mi rendo conto, purtroppo, che sono molte le persone di questo ambiente, tra cui numerosi colleghi homebrewer che snobbano ignobilmente le IGA, superando il tutto in maniera abbastanza lapidaria con “le iga a me mi fanno cagare“. Nonostante io tenda a mostrare rispetto verso le opinioni altrui, su questo non riesco ad essere indifferente. E poi “a me mi” non si dice.

Ma la situazione non è del tutto drammatica, e fortunatamente ci sono diversi esempi di IGA commerciali e ogni anno appaiono nuove produzioni sul mercato. Prodotti veramente ottimi e degni di nota, e ogni interpretazione ha delle caratteristiche completamente uniche, per quanto riguarda le uve scelte, il trattamento e la birra di base. E comunque rimangono IGA. Ognuna con la sua peculiarità.

Ci tengo a precisare che questo post non vuole essere una FAQ su come realizzare una IGA, visto che io sono semplicemente un homebrewer con zero competenze sia di enologia che di cervogialogia (esiste questo termine?).

Come dicevo all’inizio del post, voglio raccogliere qui le domande più frequenti che mi hanno posto e le risposte che ho provato a dare. Sicuramente non sono risposte accademiche o degne di nota. Ragioniamoci insieme nei commenti, son sicuro che la coscienza collettiva può solo che far bene.

Ho del mosto d’uva. E ora?

La domanda più ricorrente è stata proprio “Ho del mosto d’uva. Come posso farci una birra?“. La risposta più ovvia è: orzo maltato, luppolo, acqua e lievito, con somma pace del rainreinhetxreinheinegein… ehm… editto della purezza.

Ma prima di tutto occorre conoscere ed identificare le caratteristiche del mosto d’uva che si sta per usare. In buona sostanza, una IGA non è semplicemente la fusione di due mosti: serve creare, o prevedere il giusto equilibrio tra le due componenti, evitando che facciano a cazzotti, che si annullino a vicenda. La maggior parte delle persone che mi hanno scritto hanno ricevuto il mosto dalla vendemmia di qualche amico o parente con un implicito “te che giochi a fare la birra in casa… divertiti con questa“. E si sa che a caval donato non si guarda in bocca. Il mosto che uso io per fare la mia SQL, proviene da Gattinara, terra dell’omonimo vino, e che adoro per mille motivi. Ogni volta mi assicuro di conservare al fresco il mosto, in genere temperature da frigo posso essere sufficienti, o addirittura in freezer, per evitare che parta la fermentazione spontanea. Prelevo un campione per misurare la densità e mi segno i litri totali di mosto. Segno anche il PH e poi lo ripongo al fresco, in pratiche bottigliette da mezzo litro, fino alla data dell’utilizzo in cotta. Quel gran genio del mio amico, quello che con un cacciavite in mano fa miracoli e che ogni anno mi fornisce la preziosa materia prima che tanto mi piace tanto a me si preoccupa sempre sempre di riferire il PH e la densità. Questo valore è sempre in Gradi Babo ovviamente, perché nel mondo del vino il Babo è l’unità di misura di riferimento del contenuto zuccherino. Inutile dire che esistono on line decinaia e decinaia di convertitori da Grado Babo a Brix, o nel valore a noi homebrewer più familiare. Io uso questa tabella, molto comoda.

Quale stile di birra è più idoneo per una IGA?

E io che cazzo ne so? rispondo sempre, anche con un certo orgoglio.

Ma non pensate che io parta prevenuto. A questa domanda faccio rispondere a due persone di un certo livello che ne sanno decisamente più di me. Due personcine a modo, diciamo, e di riferimento per il nostro ambiente, uno a livello mondiale, e uno a livello nazionale.

Ecco cosa dice il signor BJCP in merito alle IGA: “A sometimes refreshing, sometimes more complex Italian ale characterized by different varieties of grapes”. Traduco: “Una birra a volte rinfrescante, a volte più complessa, caratterizzata da varietà differenti di uve”. Fine.

Ed ecco la risposta che ha dato il signor UnionBirrai, mio carissimo amico, sempre sulle IGA: “Birre chiare, ambrate e scure, alta o bassa fermentazione, da basso ad alto grado alcolico con uso di uva, mosto, vinacce, vino cotto di uve bianche o rosse”. E non contento, aggiunge, come stili di riferimento: “Nessuno stile specifico ma rientrano in questa categoria le birre realizzate con l’utilizzo di uve bianche o rosse (frutto, mosto d’uva fresco o cotto, vinacce)”. E basta, anche qui.

Tutto chiaro, no?

Non so voi… ma io non ci ho capito nulla. Informazioni più vaghe e fumose di queste non ce ne sono, e nessuno si azzardi a dire che i due Signori sopra citati non sappiano nulla sulla questione. E quindi? Per rispondere alla domanda credo che “E io che cazzo ne so?” possa ritenersi un’ottima sintesi su questa faccenda.

Io posso dire come e perché sono arrivato a partorire la ricetta della mia interpretazione di IGA, ma questo non vuol dire che sia un ragionamento logico universale, condiviso da altri homebrewer o mastri birrai. Per esempio, io non mi sognerei mai di usare malti scuri tostati in una IGA, ma ho assaggiato diverse produzioni di IGA scure. Ricordo, la CASSARMONICA di B94: un english barley wine con aggiunta di mosto cotto, e una volta ad un incontro tra homebrewer ho assaggiato una IGA Imperial Stout prodotta da non mi ricordo più chi. Ecco… se devo dire la mia, dosi massicce di malti tostati sono da evitare in una IGA e quindi escluderei tutti quesgli stili con EBC superiore a 30. Di conseguenza mi avvicinerei a tutti quegli stili con colori che vanno da chiaro al ramato, senza però che i malti speciali risaltino troppo.

Quale lievito usare per una IGA?

Anche qui è difficile dare una risposta in assoluto precisa e corretta. Tutto dipende da quello che si vuole ottenere, dalle caratteristiche delle uve e da tanti altri fattori. Sicuro serve un lievito che lavori bene in presenza di alcool perché tendenzialmente tutti gli zuccheri presenti nel mosto d’uva verrano letteralmente divorati e convertiti in alcool, anidride carbonica e sottoprodotti della fermentazione. E come non bastasse ci abbiamo messo anche degli altri tipi di zucchero che non sono completamente digeribili dai lieviti per birra. Sicuramente ci vuole un buon lievito in forma, consiglierei anche l’aggiunta di nutrienti per il lievito durante la fase di bollitura per evitare appunto di stressare troppo i nostri amati batteri, e per non farli arrivare del tutto spompati a fine corsa.

Due anni fa per la mia IGA ho usato un lievito da California Common; l’anno scorso ho cambiato completamente e ho usato due lieviti: uno da bassa fermentazione (dal mondo della birra) e uno per presa di spuma con fattore killer (dal mondo del vino). Il risultato migliore è stato raggiunto dalla seconda versione. Quest’anno addirittura sto meditando sull’usare solo lieviti enologici. Tutto sta a cercare di capire cosa si vuole ottenere, ma questo non lo può decidere nessuno se non l’esperienza diretta o collettiva. Insomma… bisogna provare, e poi trarre delle conclusioni. E poi riprovare.

Lieviti puliti, lieviti con produzioni di esteri, lieviti secchi, lieviti liquidi, lieviti convenzionali, lieviti non convenzionali… vanno tutti bene! Basta non fare le cose alla cazzo di cane. E non serve chissà quanta esperienza per capirlo: basta un minimo di dimestichezza e di esperienza.

Sulle IGA ci sono ancora praterie sconfinate su cui piantare bandiere. Altri stili non hanno questa fortuna. Approfittiamone!

Se ti mando una ricetta, me la correggi?

NO! Primo, perché non sono così fenomeno da capire cosa passa nella testa dell’homebrewer quando scrive una ricetta. Secondo, perché a meno di trovare errori evidentissimi, tipo un uso spropositato di malti speciali, altro non so dire.

Possiamo parlarne insieme, esattamente come succede sui forum, anche se mi rendo conto che on line il rischio di fraintendimento o perculamento è altissimo. Io non ho problemi a parlare di grist, mash design, luppolatura e fermentazione.

Lo farei tutti i giorni e per tutto il giorno. Ma alla fine, quello che dico è sempre e solo il mio punto di vista, secondo la mia esperienza. Confrontarsi così è molto bello, perché ogni volta imparo tantissimo: un paio di settimane fa, un homebrewer romano con cui ogni tanto mi scambio messaggi mi ha mandato la ricetta bozza della sua prima IGA con una base di Belgian Saison con luppolatura tutta in late con del Nelson Sauvin. Ecco, il Nelson Sauvin in una IGA, per quanto per certi versi prevedibile, per me è stata una vera rivelazione. Un tocco di genio, e spero vivamente di assaggiarla un domani. Ora magari arriva qualcuno a dire il contrario e che il Nelson Sauvin in una IGA è una stronzata immane. Parliamone nei commenti.

Un’altra domanda ricorrente è la percentuale di mosto da usare. Il signor BJCP, interpellato prima, parla di percentuali non superiori al 40%. Io di mio ho trovato il giusto equilibrio col 17%. Ma anche questo numerino è estremamente variabile a seconda del mosto base, sia di vino che di birra. Le uve che uso io, sepuur molto delicate, sono molto caratterizzanti e sono sicuro che il 40% sarebbe solo uno spreco assurdo di materie prime.

Se dovessi fare, un domani, una IGA con delle uve diverse da quelle che uso abitualmente, oltre ad una serie ragionata di assaggi, non mi sbilancerei oltre il 20% di mosto d’uva sul totale.

Posso fare una IGA senza passaggio in botte?

Qua faccio fatica ad essere diplomatico. Comprendo la moda del legno e delle birre elevate in botti, ma da qua a dire che le IGA per essere tali devono per forza farsi dei gran giri di tagadà in botte… anche no. Per come la vedo io, le IGA dovrebbero essere delle produzioni più vicine al modo produttivo della birra, e non del vino. Ma vallo a dire a Ca’ del Brado, o a Klanbarrique… come elevano loro le birre in botti in italia… pochi sono capaci. Ma loro sono professionisti, e noi dei semplici homebrewer: va bene non avere vincoli di sorta e limiti di fantasia, ma in casa il confine tra buonissimo e cagata pazzesca è veramente labile. I nostri fermentatori, in buona sostanza, vanno più che bene.

Qual è l’esempio commerciale di IGA più buono?

Quando vado in giro a bere, non riesco mai a resistere alla tentazione e assaggiare più esempi di IGA possibili. Purtroppo stiamo parlando di birre che hanno sempre un tenore alcolico dal moderato all’alto, motivo per cui o mi lascio andare a timidi assaggi, oppure faccio fatica a chiudere la serata. Ma solo quest’anno ho assaggiato diverse produzioni eccellenti.

Ecco quelle che ho adorato quest’anno e che consiglio (come al solito questo blog non gode di nessuna affiliazione o sponsorizzazione, quindi non rompete le palle se non cito birrifici blasonati o a me sconosciuti):

Se avete altri esempi commerciali da suggerire, lasciate un commento. Sono molto curioso.

Come calcolo l’aggiunta di mosto di uva su BrewFather?

Ma torniamo sul pianeta homebrewing. Brewfather non contempla la possibilità di aggiungere tra gli ingredienti, un liquido zuccherino. Lo stratagemma che uso io è quello di calcolare tramite la formula descritta in questo mio vecchio post (subito sotto la ricetta) la densità finale prevista partendo da litri totali e OG del mosto d’uva a disposizione. In stesura di ricetta, aggiungo poi i litri totali tra quelli previsti allo sparge, e tanto zucchero bianco da tavola quanto serve per arrivare a densità calcolata. Per il colore… mi dispiace ma alzo le mani.

Mi rendo conto che non è una soluzione pratica e comoda, ma altre non ne ho trovate. Anche qui, se avete qualche suggerimento, parliamone. O nei commenti o sulla pagina facebook del blog.

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4 pensieri su “Torniamo a parlare di IGA

Gabriele

Ciao, bell’articolo, se ne trovano pochi che parlano di IGA. Ho provato ad utilizzare il “trucco” (passami il termine) per aggiungere il mosto di uva a Brewfather. Mi sono reso conto però che se aggiungi zucchero ti trovi con la OG (eggrazie dirai) ma non credo che ti troverai con la FG, perché BF giustamente considera con 100% di fermentabilità lo zucchero, cosa che non sarà vera con il mosto di uva.
Ti torna questa cosa?

Risposta
    ostelinus

    Beh sì… Hai ragione. In linea di massima mi torna. La percentuale di fermentiscibilità del mosto varia da vitigno a vitigno e da spremuta a spremuta. Il mio amico che mi ha dato il mosto me lo ha garantito fermentescibile al 100% ecco perché ho usato il trick dello zucchero.

    Risposta
Mauro

Le fareste un leggero dry hopping…?

Risposta
    ostelinus

    un leggero dry hopping in una IGA io sinceramente non lo farei.

    Risposta

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