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Quando il gioco si fa duro

14 Dicembre 2020 - il Blog, Ricette
Quando il gioco si fa duro

Oh no… l’ennesimo post del blog sulle Italian Grape Ale!!!

Ebbene sì, miei cari amici, anche quest’anno ho fatto una birra con aggiunta di mosto di uva. Una IGA, per l’appunto. Un appuntamento fisso che puntualmente succede ogni anno, e che non voglio perdermi assolutamente. Si tratta della quarta volta che, ufficialmente, mi diletto con questa produzione

Ma facciamo un passo indietro.

Chi frequenta queste pagine sa benissimo quanto sia appassionato di questo stile non-stile, ne ho parlato davvero tante volte che rischio di sembrare il solito disco rotto.

Nonostante sia un appuntamento annuale noto che le mie ricette e le mie interpretazioni cambiano e sono influenzate prevalentemente dall’evidenza del bicchiere, dalla curiosità e dalla mia esperienza. Sono già 4 versioni di IGA, e sono quindi 4 anni, e io non sono lo stesso homebrewer di 4 anni fa, e le ricette sono in qualche modo il riflesso di questa, chiamiamola, crescita.

E in base all’esperienza ho sempre progettato ricette sull’idea ben precisa della direzione da percorrere, e ho poi corretto il tiro anno per anno. La versione del 2020 è la versione definitiva? per davvero davvero? Non lo so. Appuntamento all’anno prossimo, forse.

La mia IGA negli anni

Nel 2017, nella mia prima IGA ho usato 100% malto pilsner e un lievito da Californian Common e un mix di luppoli americani (cascade, simcoe… e un altro che non ricordo) tutto in late e del mosto di Gattinara. Come prima prova mi sono ritenuto molto soddisfatto: buona intensità aromatica, buona bevuta… l’aspetto non era il massimo: la birra risultava troppo velata per l’idea che mi ero fatto. Ma è stata un successone tra amici e parenti, molto richiesta a tavola durante le feste natalizie. L’entusiasmo mi ha convinto di essere sulla buona strada, ma che ancora tanta strada doveva esser percorsa.

Nel 2018 ho modificato il grist tagliando il malto pilsner con del vienna; ho mantenuto lo stesso mosto e cambiato la luppolatura riducendo i luppoli, contestualmente avevo scoperto le basse fermentazioni casalinghe e ho cambiato strategia sul lievito, e ne ho addirittura usati due in momenti diversi della fermentazione. La parte divertente della fermentazione è stata gestita da un w-34/70 della Fermentis in maniera impeccabile. Dopo il Diacetyl Rest a 20° ho inoculato del Bayanus che ha completato il lavoro sporco dell’attenuazione. Prima di imbottigliare ho effettuato un lungo periodo di lagherizzazione di una 10ina di giorni. Per mio errore di valutazione ho effettuato poco priming perché, come si dice in gergo tecnico, mi sono cacato sotto. Il risultato è stato sorprendente, molto probabilmente dovuto alle materie prime usate in splendida forma. Profumi spettacolarmente complessi, aspetto limpido e cristallino con sfumature ramate, gustosa, liscia in bocca ma… poca bolla. mannaggia.

La versione del 2019 ha cercato di correggere il tiro sui difettucci minori della versione precedente. Nonostante abbia usato due lieviti diversi non ero completamente soddisfatto e ho deciso di ridurre e di usarne uno solo: quello da bassa. Grist, luppolatura & mosto sono rimasti invariati rispetto alla versione precedente, vista la grande soddisfazione. Ho raddoppiato la dose di priming per la carbonazione che questa volta ha fatto il suo lavoro mantenendo vivace la bevuta. Aspetto spettacolare, colori stupendi, carbonataz… ehm… carbonazione giusta… ma il naso e la bocca non avevano la stessa carica esplosiva dell’anno precedente. Probabilmente l’annata del mosto di uva non è stata all’altezza della precedente. Ci sta… quando si usano materie prime di questo tipo e non si è esperti nel saper prevedere tutti gli aspetti della produzione, possono capitare delle defezioni. La conferma è arrivata anche da chi ha assaggiato questa versione e quella precedente: Nel fare un paragone in parte basato sui ricordi e in parte sul bicchiere appena finito, han definito questa versione più dolcina preferendo nettamente la versione precedente. Ed effettivamente è vero. Insomma, contento delle piccole correzioni, ma non soddisfatto del tutto. Questa versione, molto più delle altre, sopratutto nelle bottiglie bevute in primavera estate, ha risentito maggiormente dei difetti tipici dell’ossidazione.

Non tutto rose e fiori…

…ovviamente. Raccontare solo le cose positive non serve ad un cazzo. Come del resto incaponirsi a tutti i costi.

Spinto anche dagli apprezzamenti ricevuti da amici fissati come me con la produzione casalinga di birra, ho inviato la birra in diversi contest ma per un motivo e per un altro non si è mai piazzata. La versione del 2018 presentata a due concorsi differenti che si sono svolti nel giro di pochi giorni ha ricevuto due giudizi diametralmente opposti: da una parte è stata elogiata sottolinenando la complessità dei profumi (al netto del problema noto della carbonazione, per cui penalizzata con un 38/50), dall’altra è stata valutata con un non classificato con commento tecnico a corredo sembra un prosecco scarico. Non mi voglio nascondere dietro la solita discussione trita e ritrita sulla competenza dei giudici seduti ai tavoli di un concorso: non è proprio il caso e non serve a niente, per cui evito. Il modo migliore per affrontare le sconfitte è fare spallucce e andare avanti per la strada che si ritiene giusta (e aprire un blog).

E la versione 2020?

Eccoci quindi alla versione di quest’anno. I cambiamenti, sono molti.

L’unica costante è il lievito da bassa fermentazione. Per il resto… ho praticamente fatto un’altra ricetta. Ho fatto tabula rasa completamente in barba alle versioni precedenti, mantenendo comunque dei punti fissi e mettendoci comunque un po’ di mio.

I motivi delle scelte fatte son sempre gli stessi. Ci si può appellare alla libertà dell’homebrewer di non avere vincoli. Quest’anno ho voluto puntare sull’esagerazione. Ho ampliato il grado alcolico; ho cambiato il colore puntando sul ramato con riflessi rubino; l’unica gittat…ehm… gettata di luppolo è in amaro; ho voluto riempire la bevuta con una base maltata più robusta… insomma… per un anno ho voluto dare ascolto a chi ha giudicato severamente le versioni precedenti per cercare di colmare un gap. Tentar non nuoce. Tra un anno tireremo le somme delle scelte fatte. per decidere se perseverare o tornare indietro.

Perché quando il gioco si fa duro… i duri cominciano a giocare.

SQL – Italian Grape Ale – Toga Toga Edition

Dati Vitali

Ammostamento

Malti (4 kg)

Altro (300 g)

Luppoli (10 g)

Varie

Lievito

Fermentazione

Un paio di commenti sulla ricetta, giusto così per motivare un paio di scelte che anche a me son sembrate estreme, ma che ho deciso di adottare lo stesso. Gli altri anni ho puntato ad un tenore alcolico medio alto, intorno ai 7 gradi, mentre stavolta mi sono spinto oltre, e una birra con 8 gradi ha bisogno di un buon corpo a sostegno della bevuta, altrimenti l’alcool diventa protagonista indiscusso in bocca, e non mi piace. Da qui l’uso esagerato del melanoidin: su quello, lo ammetto, è un azzardo. Provo a spingermi oltre i limiti per cercare note mielose in bocca forti, nella speranza che non siano stucchevoli. Il mosto usato è un Aglianico di Taurasi dal colore rosso rubino intenso e con delle caratteristiche organolettiche molto precise: rosa, banana, pesca matura e mela pink, acidità molto contenuta e una leggera nota minerale che dona a questo vitigno una forte versatilità. I 300 grammi di zucchero citati in ricetta dovrebbero essere l’equivalente dell’aggiunta dei 3 litri di mosto (con OG 1.090) per compensare la diluizione.

Com’è andata la cotta

Ricorderò probabilmente questa cotta per sempre perché è stata l’unica in cui sono stato, non per scelta ma per condizione, lucido e concentrato in tutte le fasi della cotta. Dalla preparazione alla pulizia.

Nonostante tutto ho colmato i vari momenti di noia ascoltando vecchie canzoni in rotazione e le prime due puntate di Mash Out! Podcast. Giusto per non dimenticarsi l’autoreferenzialità.

Ho iniziato circa alle 20.00 di una domenica sera e all’una circa avevo circa 15 litri di mosto nel fustino adagiati nel Frigosaurus con tutta l’attrezzatura usata pulita, asciugata e riposta nelle relative scatole. Delitto perfetto.

Come al solito ho preso un campione dopo aver inoculato il most per monitorare la fermentazione: il colore del mosto, eterna incognita in questi casi, è un bel ramato scuro leggermente velato tendente al tonaca di frate, ma qualsiasi considerazione su questo aspetto è prematura e la mini lagherizzazione prevista in fusto ci darà il suo verdetto quando imbottiglierò. La cantina era un esplosione di profumi molto intensi di miele, ciliegia davvero molto inebriante. Ho scelto, come al solito di condurre la fermentazione col metodo Fast Lager e lascerò che AxHTherm faccia il lavoro al posto mio gestendo gli step di fermentazione, che col solito inzio lento, dopo un paio di giorni era già attiva. Ogni tanto do una controllatina… ma giusto così… per sport.

…I duri continueranno a giocare?

E così si conclude l’anno 2020, un anno sicuramente memorabile per essere sfortunato su tanti punti di vista. Ricorderò per sempre questa cotta non solo perché son stato sempre lucido. Ricorderò questa cotta perché, fino a prova contraria… questa è l’ultima cotta della mia vita. Ironia della sorte, l’ultima cotta non poteva che essere una IGA, uno dei miei stili birrari preferiti in assoluto.

Ebbene sì… dopo una 50ina di accensioni e 4 anni anni di onorato servizio, la mia pentola BIAP tanto amata e tanto odiata è arrivata a fine corsa. Con onore. Mi ha lasciato comunque finire la cotta… e a seguito di una ispezione di routine che faccio ogni 3-4 cotte per controllare lo stato del fondo della pentola… Ho trovato l’attacco della scheda che comanda la resistenza da 1800w completamente bruciato e il piedino mi è letteralmente rimasto in mano. Non so dire se questa cotta è stata quella fatale, visto che non ho avvertito puzza di fili bruciati, e il salvavita non è scattato. L’idea che mi son fatto è che la bruciatura sta li da un po’, e io non me ne sono accorto e il fatto di aver aperto il fondo ha smosso i fili ormai resi rigidi dalla bruciatura.

Non ho molte altre parole da aggiungere a riguardo, se non le solite frasi banali sullo spronare i possessori di pentole simili alla mia di fare un controllino ogni tanto, giusto per assicurarsi che li sotto tutto vada bene.

Ho deciso che non seguiranno tentativi di recuperare il salvabile, non sono il tipo e non sono nemmeno capace, d’altro canto non mi sembra il caso di sostituire il controller con altri sistemi: ci avevo pensato in passato, ma ora l’ipotesi non mi sembra più così accattivante. Non ci saranno esequie, al massimo spargerò le ceneri virtualmente sul Mercatino Homebrewing vendendo a cifre simboliche i pezzi che possono essere recuperati. Il resto andrà all’isola ecologica.

Ne approfitto per prendere una pausa dall’hobby. Un po’ per riprendermi dallo shock, un po’ per capire bene cosa fare e come procedere. Io sono una persona molto fatalista: c’è un motivo se a fine 2020 la mia pentola, il cuore pulsante del mio sistema di produzione casalingo di birra è venuto meno. Ma adesso non voglio pensarci. Adesso qualsiasi decisione è un semplice frutto dell’amarezza, della fretta e del rimpianto. Meglio prendere una pausa e ragionare a mente lucida.

Caso mai, state tunati e venite a controllare sulla pagina facebook che fine abbia fatto.

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2 pensieri su “Quando il gioco si fa duro

Giuseppe

Ciao, grazie per quello che scrivi, mi dispiace per la tua pentola, io ho comprato da poco la oneconcept da 30 litri grazie a quello che ne dicevi tu, sto per fare la 2 cotta, la prima è venuta benino ma torbida e secondo me con qualche difetto di ossidazione a caldo, adesso ho comprato una specie di Enzo anch’io vedrò come andrà! Spero continuerai a scrivere!!! Buon Natale

Risposta
    ostelinus

    Once homebrewer, forever homebrewer!
    Grazie! <3

    Risposta

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