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La febbre della birrificazione

14 Agosto 2017 - il Blog
La febbre della birrificazione
Briù Dot Net – 2017 edition

Una cosa è certa: non bisogna mai pianificare una cotta all’ultimo momento. Non bisogna mai farsi prendere dalla fretta. non bisogna mai fare le cose alla cazzo di cane. E infatti, ecco che ieri, avendo a disposizione il pomeriggio libero e poca voglia di fare qualsiasi cosa, mi sono deciso e mi sono organizzato per fare una cotta, la Briù Dot Net. Nei mesi passati ho avuto il tempo per pensare a come modificare la ricetta, non essendo più soddisfatto della versione versione. Questa nuova versione ha visto il grist praticamente invariato mentre luppolatura e lievito hanno visto pesanti rivisitazioni. Per l’amaro ho confermato l’hallertau hersbrucker con dosi generose di mandarina in aroma. Ho deciso di togliere, per esempio il DHEA, dry hopping per estrazione alcolica, per via di quel fastidioso erbaceo persistente che lascia in bocca. Per il lievito, nonostante io sia un grande affezionato dei lieviti secchi della Fermentis, volevo provare il Mangrove Jack M54. Del resto, l’etichetta dichiara come stile un generico Lager. Se proprio volessimo fare i pingoli, si tratta di una Californian Lager.
Avevo comunque intenzione di fare la cotta in questi giorni, approfittando di un po’ di tempo libero in più, quindi alla fine sono andato nella mia cantina/officina per spostare scatole, scatoloni, biciclette ed affini per rendere l’ambiente il più comodo possibile. E tutto sembra procedere liscio come l’olio: mi muovevo sinuoso come una libellula, ballavo tra una scatola e un pallone, avevo la musichetta allegra nella testa che mi faceva compagnia. Un po’ come essere in un musical, pensavo. Cosa può andare storto?

So long termometro. Good old termometro.

Ecco, dopo anni e anni di film thriller dovrei aver imparato che se c’è una musichetta piacevole, una scena rilassante, un qualcosa di leggero… in men che non si dica la musichetta può cambiare tono e diventare grave distorta e forte. E in un solo secondo si può compiere il dramma.
Preparando la pentola, trovo il termometro a gabbietta morto. Defunto, ucciso in maniera ignobile da chissà cosa. Forse una caduta, forse una manovra errata. Avrò lottato? Si sarà difeso? Sarà forse in un posto migliore?
Tutti quesiti, leciti, che non ci si può porre nel momento della cotta. Perché in quel momento qualsiasi cosa diventa una sfida contro il tempo. In quel momento il pensiero è stato solo uno: chiedere soccorso a homebrewer vicini e lontani chiedendo con urgenza un termometro in prestito, o una valida alternativa. Nel frattempo mi sono recato in un centro commerciale alla ricerca di un negozio di casalinghi, perché di domenica a ridosso di ferragosto… le alternative non sono poi così tante. E ho preso un termometro dichiarato per la cottura del cioccolato in grado di rilevare temperature dai -50 ai +300°.

termometro per cioccolatari

Ecco… vi do un consiglio spassionato… nel caso fosse interessati all’acquisto… LASCIATE STARE!

Il nuovo termometro di dimostra sin dal primo secondo inaffidabile. E quindi che fare? alla fine ho optato per immergere la sonda dell’stc1000 utilizzato per la camera di fermentazione per pochi secondi nel mosto per rilevare la temperatura dell’acqua. Credo, tutto sommato di aver beccato i due range di temperature che mi ero proposto per la ricetta. Ho fatto un protein rest intorno ai 52 gradi e una saccarificazione intorno ai 63. Lo ammetto: questa approssimazione è veramente roba da principiante, e un po’ me ne vergogno. Ma ragazzi… avrei potuto rimandare… avrei potuto aspettare… avrei potuto usare la sonda della pentola… avrei potuto comprare tre anni fa un termometro a gabbietta di scorta… eh… del senno di poi son piene le fosse. In quel momento non avevo poi così tante alternative. Spero di non pentirmene.

In ogni caso, l’ammostamento fa il suo corso. Tutto procede. Stavolta, memore del bagno di mosto che mi son fatto l’ultima volta, ci sono andato molto cauto nell’estrarre il tubo dalla pentola. Ho alzato il tubo piano piano, aiutandomi con dei guanti e fortunatamente questa fase si è conclusa senza danni e senza vittime. Un po’ di sparge e via in bollitura.

Ho avuto una densità pre-boil un po’ bassa, e ho quindi effettuato una bollitura di 90/100 minuti, iniziando le gettate di luppolo intorno ai 60 e in qualche modo ho recuperato i punti persi. Nel frattempo mi sono dedicato alla pulizia del fermentatore inox: ho preso il kit in vendita su mr-malt per la pulizia delle attrezzature: ne avevo letto recensioni molto positive e ho voluto provarlo. Il kit comprende due flaconi: è consigliabile usare prima il PBW e di seguito lo Starsan con tempi di contatto di circa 5 minuti. Lo starsan genera veramente tanta tanta schiuma, che ha aderito in maniera prepotente sule pareti del fermentatore. Ho quindi risciacquato tutto con un paio di cicli di Oxi. Nel frattempo la bollitura era già conclusa e ho raffreddato e inoculato il lievito a circa 23° e finalmente messo a riposo nel frigo a 19°.

travaso in fermentatore e ossigenzaione.

Di seguito un po’ di dati sulla cotta.

Per l’ammostamento ho usato i soliti 20 litri per i 6kg di malti previsti. Ho ottenuto una OG di 1.048 nella speranza di arrivare ad una FG di 1.012 per un’ABV approssimativa (compreso di rifermentazione in bottiglia) di circa 5%.

Che cosa è andata male in questa cotta.

A parte la rottura del termometro a gabbietta, fedele amico di anni e di cotte. A parte un’efficienza bassa. A parte tutto questo… niente da segnalare.

Conclusioni.

L’homebrewing è un hobby che prevede, oltre i suoi ingredienti principali malti / lieviti / acqua/ luppoli, un altro ingrediente che mai come questa volta ho sottovalutato: il tempo.
Ho imparato che non bisogna mai avere fretta. E, a mente fredda, penso che sarebbe stato meglio rimandare la cotta utilizzando uno strumento di misurazione della temperatura più efficiente e meno approssimativo di quelli che ho usato stavolta.

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