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Diario di una Sour Stout / Seconda ed ultima parte.

2 Settembre 2017 - il Blog, Tecniche e Consigli
Diario di una Sour Stout / Seconda ed ultima parte.
il boccione

Quando ho imbottigliato la Dot Net, mi sono ‘ricordato’ che avevo ‘scordato’ un boccione da 5 litri di una cotta infetta di irish stout, la TURBO, con aggiunta di fondi di una birra brettata per tentare di salvare il salvabile, e per provare l’esperienza di far maturare una birra sour.

Ribadisco la premessa: sono ben consapevole che la produzione di birre sour a livello casalingo è un livello molto avanzato e che non è una tecnica facile da addomesticare, e che non bisogna fare le cose alla leggera. Sono ben consapevole che occorre studiare studiare e poi ancora studiare e prendere estrema confidenza con il vero birraio che tanto lavora per noi, ovvero il lievito. Ne sono ben consapevole, sono sincero. Ciò non toglie, che empiricamente uno è libero di fare e azzardare come meglio crede, almeno nell’intimità delle 4 mura domestiche, per poi avere, almeno l’onesta intellettuale di dire: c’ho provato!

Tutta sta premessa, ovviamente, per comunicare, il fallimento del fallimento.

Ma andiamo con ordine…

il boccione, almeno ai primi tempi, stava procedendo bene: i brett avevano cominciato il loro lento e prezioso lavoro fino a creare uno spesso strato di circa 2 cm in testa mettendo in protezione il mosto da altri batteri. Poi col caldo, dai primi di giugno almeno, la patina si è pian piano depositata sul fondo fino a sparire quasi del tutto, e adesso si è creata, a causa delle temperature elevate della mia cantina, uno strato bianchiccio che mi hanno fatto subito sospettare la deriva inevitabile del mosto verso l’aceto.

E infatti ho assaggiato un campione per capire se valesse la pena continuare a sperare… E il responso, ahimè, è uno solo: lavandino.

Ho prelevato un campione per un assaggio e al naso c’era una forte componente acetica, le note che in teoria dovevo aspettarmi da una stout erano completamente sepolte sotto questo forte aroma pungente di aceto, con forti rimandi a frutta a pasta gialla, merito del lavoro dei brett. All’assaggio l’amaro risulta praticamente inesistente: attacco è molto forte, aspro, ma non è persistente. Rimane un forte retrogusto dolciastro tipico di vini come il moscato. Corpo completamente assente.

prelievo di un campione

La deriva acetica è fin troppo evidente. Anche imbottigliando con un priming  bassissimo otterrei un ulteriore nulla di fatto. Quindi, stoicamente accetto la resa, dopo aver tentato il possibile, getto la spugna e consegno al lavandino i restanti litri sottratti a suo tempo.

Cosa succede adesso?

Faccio subito spoiler: non succede un bel niente

Non ho intenzione assolutamente di lanciarmi nel trip delle acide. Certe cose hanno bisogno di studio, spazio e tempo che non ho è che non posso mettere in cantiere ora. Magari quando sarò in pensione e la prole in giro per il mondo potrò tentare ancora esperimenti. Ma per il momento proprio no. E spero ardentemente di non subire un’altra infezione, perché tutta questa storia non sarebbe mai stata scritta senza quella ‘traumatica esperienza’.

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